EUROMEDITERRANEO: PROTAGONISMO ITALIANO PER UNO NUOVO SPAZIO DI STABILITÀ E PROSPERITÀ
La più grande novità del panorama politico attuale sarebbe oggi quello di riprendere e concretizzare una nuova idea di spazio euromediterraneo come area di prosperità e sviluppo, di stabilità e di pace, di comunanza di valori comuni e di energie per affrontare le difficili sfide (immigrazione, risorse energetiche, conflitti, alimentazione, ambiente, lavoro etc). Come Italia abbiamo la responsabilità e il dovere di re-inventare un nuovo paradigma per la nostra agenda politica estera basato su un nuovo dialogo concreto, democratico e una solida cooperazione con i Paesi dell’Euromediterraneo. Occorre lavorare ed investire per un Europa mediterranea, che rappresenta il nostro naturale elemento di ispirazione.
In uno scenario in cui la crisi scatenata dalla pandemia da Covid-19, l’invasione Russa dell’Ucraina, l’estensione e l’aggravamento delle tensioni geopolitiche regionali e nel mondo che invitano più alla disperazione che alla fiducia, è ormai imperativo impegnarsi con determinazione per disinnescare queste crisi e contribuire a ricostruire un percorso virtuoso. La guerra Russa in Ucraina sta segnando un punto di svolta drammatico ed eccezionale sugli equilibri mondiali della geopolitica, delle tendenze macroeconomiche e dei mercati dei capitali e in questo contesto globale si pone la sfida del processo d’integrazione euro-mediterranea, che pur con tutti i suoi limiti e debolezze, riveste una valenza strategica preziosa, soprattutto per l’Italia.
La posizione geostrategica del nostro paese nel Mediterraneo, il suo dinamismo economico e il suo patrimonio culturale e umano le consentono di svolgere ruoli di primo piano nell’area euro mediterranea. a patto che ci sia una reale volontà politica. A maggior ragione ora che diversi attori regionali e potenze internazionali vedono nel Mediterraneo opportunità, interessi e spazi di penetrazione. Non dobbiamo però rinunciare a questa missione, e abbiamo tutte le ragioni storiche e politiche che spiegano questa scelta. È altrettanto prioritario per i nostri interessi nazionali superare i residui del “complesso di inferiorità” nei confronti dei nostri principali vicini europei, come ampiamente sollecitato dallo stesso Enrico Mattei. Significa non rinunciare a lasciare il segno, ad acquisire un posto avanzato nella comunità internazionale, a sfruttare la nostra già forte presenza nelle organizzazioni multilaterali dove i nostri contributi finanziari sono cospicui. Tali dinamiche sono il vero spazio d’innovazione che si sta aprendo scommettendo a lungo termine su politiche di ampia visione e sul dinamismo del nostro vasto patrimonio per cogliere le opportunità che nascono dall’integrazione di economie sempre più interconnesse.
La questione dell’immigrazione, fino ad oggi, ha catalizzato l’agenda mediterranea, trattata in un clima di sfiducia da parte dei Paesi del bacino, soprattutto quando si analizza l’impatto della crisi economica tanto sulla sponda a nord quanto su quella a sud. Questa debolezza ha lasciato uno spazio importante ad una dialettica politica lacerante e litigiosa. Un’analisi obiettiva della politica dell’Europa dopo il trattato di Schengen dimostra con un’ovvia realtà che la gestione contenitiva è molto più complicata e ad oggi non ha prodotto gli effetti desiderati, ed è un fatto storico. In questi anni l’Italia ha dimostrato un altissimo livello di umanità e direi di generosità nel salvare vite umane e nell’accoglienza, nonostante un sistema di integrazione farraginoso, ma è stata lasciata sola per troppo tempo dall’Unione, anche a causa delle divergenze nelle visioni e la pressione degli interessi nazionali. La sfida sta anche nel superare con urgenza il trattato di Dublino e dare corso al nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo dell’UE per rafforzare l’equilibrio tra responsabilità dei paesi di primo ingresso, ricollocazione effettiva tra il resto dell’Unione, costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale e intensificazione della lotta contro lo sfruttamento dei migranti, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati. Dunque su questa base bisogna rivedere con responsabilità le politiche migratorie in un’ottica di Governance a 360 gradi (economia, cultura e società) coinvolgendo l’Europa e i paesi di provenienza, che richiede cooperazione e coordinamento internazionali costanti, altrimenti si finisce per alimentare le condizioni dell’odio, dei conflitti, della rabbia sociale e della xenofobia, che non deve essere ammessa nella nostra visione comune.
Radici comuni
Il nostro mondo, che chiamiamo Occidente, è figlio di quei valori e principi, di quelle civiltà mediterranei che hanno attraversato oceani e plasmato nuovi mondi. Un grande “balcone comune” che raccoglie eredità millenarie fatte di scambi culturali, umani, artistici, ambiente, conflitti e pace, di scambi commerciali ed economici che ne hanno fatto uno snodo eccezionale. In questa stagione dove la nostra comunità europea manifesta la sua insofferenza e incapacità di proporre un modello che possa riprendere quel potenziale e guidarlo con strategie e visioni, di animare un nuovo modo di interagire nella regione, occorre tornare a parlare al Mediterraneo allargato attraverso il linguaggio italiano, guidati dalla diplomazia della cultura, del dialogo, del patrimonio comune materiale ed immateriale, dell’economia digitale e dello sviluppo sostenibile.
Le storiche radici comuni possono servire a comprendere meglio e superare le crisi politiche ed economiche, e le diverse fonti possono darci testimonianza di sfide in cui siamo stati protagonisti. L’Italia di Giorgio La Pira, ad esempio, in uno dei momenti più difficili della neo nascente comunità europea, era riuscita ad imporsi nella scena regionale ed internazionale con un nuovo modo di intendere il rapporto con l’altro, con autorevolezza e rispetto, avviando un dialogo innovatore partendo dall’idea di “incontro tra le nazioni” come premessa indispensabile per l’avvio di un discorso politico e facilitato dall’appartenenza (Ebrei, Cristiani e Musulmani) alla “famiglia di Abramo”. Ha consentito il lancio di un processo tra le sponde che vide ambienti politici, culturali ed economici italiani attenti alle nuove opportunità per costruire rapporti privilegiati con i paesi del Mediterraneo allargato.
Dobbiamo rispolverare questo patrimonio dalla sedimentazione e costruire un nuovo racconto, riprendendo con convinzione gli elementi di forza di quella concreta visione, di alimentare le nuove energie di cui disponiamo per affrontare le sfide che siamo chiamati a sostenere e per ricostruire la nostra “democratica leadership”. Di adoperarci attivamente a rafforzare il ruolo dell’Europa nell’Euromediterraneo sia sul piano politico che quello dello sviluppo economico e sociale tra Paesi della regione. Un processo che apporterebbe enormi vantaggi anche alla nostra politica interna.
Per questa ragione l’Italia del futuro prossimo, delle nuove generazioni e delle competenze, avrà bisogno di una massiccia dose di riforme, di orgoglio e riscatto economico. Grazie al Recovery Plan si aprono enormi spazi da riempire con idee, contenuti, esperienze e pratiche che possiamo condividere con i paesi dell’area euromediterranea. Nell’arco dei prossimi anni la crisi troverà una nuova sperata stabilizzazione con nuove geografie politiche di cui oggi possiamo intuire solo i contorni. La scelta di puntare su una prospettiva in grado di dare all’Italia una profondità capace di rimettere in piedi una nazione che ha enorme bisogno di tornare a guardare avanti e a credere nel proprio potenziale civile, economico e culturale.
Lavorare per proporre ricette credibili per la crescita e la creazione di ricchezza, in primis dentro lo spazio euromediterraneo che rappresenta la nostra vocazione naturale, deve necessariamente avviarsi dalla consapevolezza del nostro potenziale.
Il Made in Italy infatti non rappresentata soltanto la nostra capacità di trasformare, di creare valore e sviluppo economico, che il mondo ci riconosce, ma la capacità di creare rapporti umani, di adattarsi alle condizioni, anche più difficili. Di reinventarsi. Per questo esiste una relazione e una dipendenza inscindibile tra noi e il Mediterraneo e dobbiamo riproporre con convinto dinamismo la questione del nostro radicamento in questo spazio per tornare ad esserne protagonisti.
Ma solo attraverso una leadership visionaria si può uscire da questo stallo, e questa volta abbiamo una preziosa occasione da non sprecare. Possiamo farlo da soli? Certamente no, ma è una partita tutta da giocare e che la politica deve disegnare per superare la frammentazione e unire gli sforzi per un vero protagonismo euro mediterraneo.
Perché non guardare ma costruire l’Euromediterraneo?
L’attuale stagione della politica internazionale nel mediterraneo è indiscutibilmente obbligata ad essere archiviata e ad agire con responsabilità per ricostruire un nuovo rapporto. La palude in cui è intrappolato da anni di antagonismi e protagonismi sotto la spinta di interessi economici e posizionamenti geopolitici, le crescenti tensioni sociali in tante nazioni, continua a soffocare la nostra regione e con essa i milioni di abitanti.
Viviamo in un contesto regionale attraversato da potenti forze di cambiamento, con nuovi equilibri politici, economici e sociali, e queste crisi pandemico-economica e dei conflitti non soltanto hanno cambiato le abitudini e le vite delle persone, ma pongono importanti interrogativi che mettono in evidenza le già accentuate differenze tra le due sponde del mare nostrum, cosi come tra gli stessi paesi dell’area sud-orientale (che presentano diverse condizioni economiche, politiche, sociali, religiose, culturali ed energetiche).
Una delle molte sfide per la regione è rappresentata dalla transizione verso un nuovo paradigma di protagonismo comune e cooperazione che richiede cambiamenti importanti, ragion per cui la democrazia dovrebbe adattarsi a tali cambiamenti e cogliere le opportunità offerte, soprattutto dalle nuove tecnologie digitali e dall’economia sostenibile.
La transizione energetica resta infatti una sfida importante nell’area EuroMediterranea e ciò significa che per tutti i paesi della regione s’impone un cambiamento del trend energetico, per modificare le tendenze attuali e accelerare gli sforzi nella direzione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Per l’Europa, sostenere la transizione energetica nell’area euromediterranea significherebbe quindi avviare nuove opportunità commerciali per le imprese europei, con ricadute sulle altre filiere produttive come il settore agricolo, industriale e dei servizi. Un processo che favorirebbe l’export delle tecnologie rinnovabili, garantire la stabilità degli scambi energetici tra Nord e Sud, cosi come contribuire alla lotta al cambiamento climatico. Oltre al peso storico-geografica, il nostro Paese, leader nell’economia circolare in Europa, avrebbe tutte le chance per rilanciare il “Made in Italy”.
Sviluppo sociale e sviluppo economico sono la chiave di volta su cui si potrà reggere un’alleanza interregionale per interconnettere gli obbiettivi di crescita sostenibile. Un “Green Deal allargato”. Come Italia e soprattutto come EU abbiamo tanti altri strumenti da rivalorizzare, a partire dal nuovo corso della politica europea di vicinato.
In conclusione
Il nostro Paese, malgrado tutte le difficoltà interne, svolge un ruolo di primo piano nel difficile percorso per la creazione di un’area di pace e stabilità, di prosperità e di dialogo nel Mediterraneo. L’Italia è stata protagonista della nascita del Processo di Barcellona che nel novembre 1995 ha lanciato il Partenariato Euromediterraneo, nonostante le tante difficoltà e ostacoli che ne hanno limitato la portata iniziale, ha dato impulso alla crescita di maggior cooperazione e integrazione euro mediterranea. Ora serve un vero salto in avanti.
Tornare protagonisti nel nostro spazio significa avere coraggio di guardare in faccia all’irreversibile mutamento geopolitico, di raccogliere e affrontare le sfide attuali e costruire la nostra leadership nel Mediterraneo grazie al nostro potenziale umano, dei giovani e delle nuove generazioni come cerniera tra i popoli e le nazioni del mediterraneo, alla nostra forza multiculturale secolare e alla capacità di dialogare con tutti gli attori della regione.
Il nostro tessuto economico è forgiato sulle Piccole e Medie imprese, che hanno bisogno di esportare per crescere. Questo vincolo commerciale è diventato nel tempo uno dei principale volani della “diplomazia italiana”, ma occorre scommettere su una visione che investe di più per cogliere le opportunità all’estero e a lungo termine.
Abdessamad El Jaouzi
Analista e ricercatore indipendente
Autore e Senior Advisor, comunicazione diplomatica e relazioni internazionali